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Chi siamo - la passione per il restauro

Giovanni Lanaro ha seguito la fase di reperimento e restauro di tutti gli oggetti presentati in questo sito; di seguito una sua descrizione di quanto ha fatto nel corso degli anni relativamente agli oggetti in ferro battuto: "Mosso da sincero interesse e curiosità, dopo 25 anni di appassionata ricerca ho accumulato circa 1000 pezzi tra chiodi, bandelle,  cerniere, serrature , chiavi, lucchetti, chiavistelli, ecc. La provenienza geografica è per lo più l’Italia del nord  e più precisamente  l’area che a sud confina con  il Veneto e la Lombardia, a nord con l’Alto Adige e l’Austria. Sono oggetti raccolti con molta pazienza e a volte anche con molta fortuna presso rigattieri (ora quasi

scomparsi), antiquari, e nelle bancarelle degli ormai numerosi mercatini delle varie località del nord Italia. Vero è che in questi ultimi decenni gli appassionati, gli studiosi ed i collezionisti di questo genere di oggetti, sono diventati una schiera molto numerosa. Alcuni di loro sono intervenuti con studi, mostre e cataloghi, anche di alto livello scientifico, giungendo ad una prima ricostruzione storico-culturale di questi manufatti in ferro.

Non di meno alcuni enti pubblici, nell’esercizio delle loro competenze, hanno realizzato iniziative importanti, quali mostre, studi e pubblicazioni, proprio nell’intento di valorizzare gli oggetti della cultura materiale che sino a qualche tempo fa  venivano considerati ai margini della cultura e dell’arte. Desidero a questo riguardo ricordare la pregevole mostra  di respiro europeo e di grande rigore scientifico, organizzata dalla Provincia Autonoma di Trento nell’anno 1997, con l’esposizione di un vasto campionario di serrature e chiavi presso il Castello del Buonconsiglio.

In quel contesto la stessa Provincia ha realizzato una pubblicazione di grande completezza e rigore dal titolo “Oltre la porta”. Dirò subito che parte delle serrature e delle chiavi esposte in questo catalogo sono del tipo di quelle illustrate nel succitato volume “Oltre la porta”; è questo infatti uno dei testi cui spesso rimando nella compilazione delle singole schede. Ma allora, che senso ha realizzare l’ennesima collezione di serrature e chiavi quando ne esistono già di molto ampie e ottimamente catalogate?

Sarà proprio questa domanda a convincermi che una nuova raccolta ha significato, a patto che i manufatti presentino almeno due caratteristiche di novità. La prima è che ogni serratura antica, individuata per l’epoca e per la forma, deve prestarsi ad un restauro che, nel rispetto della sua originalità, ne ripristini il suo completo funzionamento. L’obiettivo è quello di consentire all’appassionato osservatore non solo di guardare l’oggetto, ma anche di manipolarlo,  potendo introdurre la chiave nella toppa, mettere in funzione il meccanismo e, infine, udire quella che io chiamo la sua “voce” , la sua “anima”. Nel raggiungere questo scopo si è inteso adottare il criterio di garantire la miglior combinazione tra la originalità da salvaguardare da una parte e la funzionalità dall’altra.

In conclusione la collezione qui descritta è composta da serrature originali costruite tra il XVI e XIX  secolo, tutte funzionanti e munite della rispettiva chiave. Non mancano tuttavia alcune serrature d’epoca le cui chiavi sono in parte adattate. Anche in questi casi però, si tratta di chiavi molto vicine all’originale, sia per l’epoca che per la forma.

Quanto al processo di restauro, è opportuno richiamare l’attenzione su alcuni criteri operativi rigorosamente rispettati. Il primo criterio è quello di assicurare che i materiali usati nel restauro presentino le caratteristiche strutturali chimico-fisiche del pezzo originale. In secondo luogo anche la tecnica della lavorazione adottata per il restauro, è la stessa che in origine utilizzava il fabbro in sede di esecuzione del pezzo (manipolazione del metallo reso incandescente nella forgia, uso di incudine e martello, saldature a caldo con l’utilizzo di polvere di rame, ecc.). Insomma, l’obiettivo è stato quello di ripristinare la funzione originaria nel rispetto della forma e della lavorazione adottata a suo tempo dal fabbro dell’epoca. E’ solo così che la serratura può conservare lo stesso timbro della “voce”, la sua stessa “anima” che sembra ritornare mentre si compie il gesto di farla funzionare.

Per queste ragioni ogni intervento è stato sempre preceduto da una idonea e rigorosa ricerca intorno alla forma, alle dimensioni e all’epoca relative al pezzo da ripristinare. L’ampia disponibilità di testi e di studi settoriali, hanno molto agevolato questa ricerca. E’ a questa vasta bibliografia che si rimanda volentieri il lettore se avrà la curiosità di leggere le schede del presente catalogo.

E’ inutile aggiungere che interventi di restauro come quelli sopra descritti sono spesso laboriosi, complessi e talvolta costosi per il lungo tempo di lavoro che richiedono. Tuttavia se si vuole garantire il recupero integrale di un manufatto antico, come per esempio un mobile nelle sue parti lignee e nella sua ferramenta (serrature, maniglie, cerniere, ecc.) non vi è una strada diversa. Sono infine convinto che il futuro vedrà intensificare il recupero delle cose antiche in modo sempre più selettivo, nel senso che sarà riservato agli oggetti che daranno garanzia di una originalità piena ed integrale.

La  seconda caratteristica di novità è che questo tipo di serratura è pronta e disponibile per essere accolta nella sua sede naturale e originaria. Può tornare alla porta antica per assicurarne nuovamente la chiusura; alla cassa dotale per continuare a custodire i segreti della signora; più in generale è idonea per essere applicata ai mobili di alta epoca che spesso sono privi  della ferramenta coeva.

Sempre in questa ottica, dove mi è stato possibile, ho cercato di recuperare tutti quei complementi della serratura che ne assicurano il suo uso. Ad esempio per la serratura da cassone il suo dente di arresto, i chiodi originali, la bocchetta; per la serratura da porta, le rispettive maniglie, le bocchette, ecc.

Le serrature che godono di un corretto e rispettoso restauro e allo stesso tempo assicurano la loro funzione originaria, sono circa 250, di epoca compresa tra il XVI e il XX secolo. In questo catalogo però ne sono state scelte solo un centinaio, per le quali ho predisposto una scheda con relativa rappresentazione fotografica. Le rimanenti 150, sempre funzionanti e munite di chiave , dispongono della sola scheda qui pubblicata. La scelta della 105 serrature fotografate, riguarda l’epoca, la forma, le decorazioni e alcune particolarità tecniche così da evitare le ripetizioni e tenere costante l’attenzione del lettore.

Nel catalogo appaiono inoltre 60 chiavi, presentate da sole, nonostante dispongano delle rispettive serrature. Anche per esse vale il criterio di esporre soprattutto  quelle che presentano qualche elemento di rarità e/o originalità.

Nel catalogo sono riportati  anche accessori da mobile e da porta, più precisamente:

1)                 catenacci

2)                 chiavi

3)                 cardini e cerniere

4)                 bocchette e piastre

5)                 lucchetti

6)                 altri oggetti

Infine il catalogo riporta la scheda di circa 150 serrature funzionanti e munite di chiave, come accennato sopra, ma delle quali si omette la rappresentazione fotografica.

Ciascun oggetto del catalogo è affiancato da una scheda che ne descrive  l’epoca, la provenienza, il luogo o la circostanza in cui è stato acquistato il suo funzionamento, il suo utilizzo originario. Non è però una scheda di approfondimento, nel senso che non offre tutte le notizie necessarie per una conoscenza piena sul piano tecnico e storico-culturale. Per questo scopo mi è sembrato onesto e tecnicamente corretto rinviare all’ormai ricca e numerosa bibliografia esistente. La scelta adottata è stata quella di rinviare l’oggetto a quello analogo (a volte più di uno) già ampiamente illustrato nei testi ai quali rinvio nella scheda.

A questo riguardo devo dire di essere stato molto sorpreso dal fatto che in materia di serrature, chiavi, lucchetti, cardini, ecc. esistono centinaia di volumi, italiani ed europei, nei quali appaiono studi sulle differenti tecniche di costruzione legate alle diverse epoche, ma anche approfondimenti storico-culturali che mettono in rapporto gli oggetti con  la vita e la cultura delle  diverse popolazioni.

Per chi come il sottoscritto ha una certa preparazione tecnica dovuta agli studi della giovinezza e all’esperienza breve ma diretta acquisita nella bottega del nonno paterno, la comparazione che deriva dal restauro di qualche centinaio di manufatti, è stata fonte inesauribile di conoscenza. Il contatto diretto con questi oggetti mi ha permesso di esplorare la vastità delle soluzioni adottate dagli artigiani dell’epoca. Ma altrettanto interessante è la connotazione sociale che sottende un manufatto.

A parte la tecnica di funzionamento, il diverso grado di complessità di una serratura, la sua forma più o meno elaborata, gli abbellimenti (decorazione attraverso lo sbalzo, l’incisione ad acido, l’intaglio, ecc.), il tipo e la qualità dei materiali ecc. coincidono spesso con l’appartenenza sociale dei possessori. Un esempio. La serratura per la famiglia all’ultimo grado della scala sociale ha spesso la piastra di base ricavata da 2 o addirittura 3 piccole  lamine  di scarto, ricavate a caldo e poi congiunte per successivi colpi di martello del fabbro. Era la povertà che costringeva il fabbro  a lavorare con gli scarti derivati dalla costruzione delle serrature più importanti riservate alle classi sociali elevate. Lo stesso discorso vale per i mobili di arredo, con riguardo alla forma e al tipo di legname utilizzato.

Peraltro l’interesse crescente degli ultimi tempi per il recupero degli oggetti della cultura materiale del passato  a me pare coincida esattamente con il fenomeno, pure in ascesa, della esaltazione  delle così dette “identità dei territori”. Fenomeno certamente positivo ma non privo di qualche ambiguità. Il recupero della memoria del proprio passato nell’ottica di meglio individuare la strada futura da percorrere è cosa saggia ed auspicabile. Ma la esaltazione degli oggetti del passato, per chiudere dentro una cultura etnocentrica lo sviluppo di una comunità,  è cosa un po’ diversa. Ma queste considerazioni vanno oltre l’obiettivo molto più modesto cui è rivolto il presente lavoro. E’ un tema che potrà essere oggetto di approfondimento, in altro momento e in altra sede.

Chiedo al lettore di avere ancora un po’ di pazienza se termino con una nota che oscilla tra l’utile e il biografico. Questa mia introduzione si discosta un po’ da quelle solite che accompagnano le raccolte di oggetti antichi. Infatti, generalmente chi è il possessore di una collezione, non è quasi mai il suo restauratore; né tantomeno è l’esperto della materia.

In questo mio caso invece ho voluto fare tutto da solo, con il difetto, probabilmente, di rendere il testo meno brillante e gradevole. Di ciò mi scuso, ma rassicuro tutti che la sola molla che ha spinto la mia mano a scrivere è stata la grande passione per gli oggetti antichi, i quali, sottoposti ad un mio rigoroso e amorevole processo di rivitalizzazione, vedevo ritornare alla loro funzione originaria, quasi fossero in grado di svegliarsi da un lungo sonno che durava anche cinque secoli.

Ma c’è pure una coincidenza molto personale se ho voluto fare tutto da solo. Mentre scrivo, in questa primavera del 2011, mio padre Pietro, vivo, sano e ultracentenario, riesce ancora oggi con lucidità a raccontarmi le tecniche e i trucchi nella costruzione di quelle lontane e ultime serrature che, assieme a mio nonno, nella prima metà del ‘900, accompagnavano verso la fine il mestiere di fabbro ormai destinato a scomparire per lasciare il posto alla manifattura moderna. Ebbene anche la mia infanzia era presente in quella vecchia bottega e ne percepiva i gesti e ne annusava gli odori (carbone, olio, ecc.).

Poi la vita mi ha portato altrove, prima verso  una formazione tecnica molto rigorosa, poi verso gli studi umanistici (sociologia e storia). Infine, per alcuni anni, l’esperienza di lavoro presso la Provincia Autonoma di Trento, proprio nel periodo in cui le competenze dello Stato in materia di beni culturali transitavano alla PAT (anni ’70).

A questo punto desidero ricordare con affetto l’amico collega, dirigente generale della P.A.T., dott. Claudio Chiasera, scomparso di recente. Ricordo che all’inizio degli anni settanta aveva avuto l’incarico dall’allora assessore dott. Guido Lorenzi di portare a compimento il non facile passaggio della materia.

Per quel che mi riguarda fui chiamato anche io a collaborare con il dottor Chiasera perché la nuova materia giungesse presto e in forma organica tra le funzioni dell’assessorato.

Non è stato un compito semplice anche perché la Provincia di Trento rientrava nell’assetto organizzativo dello Stato che faceva capo a Verona e ad un ufficio di Trento. Come è facile comprendere queste strutture, per ragioni diverse, mal digerivano il passaggio dei poteri.

Infine, per quel che mi riguarda, sono da quindici anni in pensione in parte occupato in attività di volontariato, ma anche in libera, gioiosa attività manuale per quella lontana passione per le serrature, le chiavi antiche e gli oggetti del passato così abilmente costruiti dai nostri avi."

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